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Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista

Matteo Millan
Roma, Viella, 305 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione:

Ricerca di spessore e libro ben costruito e ben scritto, che alla mole di informazioni
e di conoscenze originali affianca un costante sforzo interpretativo, assai opportuno ed
equilibrato. Nel senso che riequilibra il rapporto tra violenza e consenso, per usare termini
ormai convenzionalmente abbinati (e/o abusati), nella non breve parabola del fascismo.
Regime autoritario? O totalitario? «Fuori dal cono d’ombra dell’Olocausto» (R. De Felice)?
Addirittura «democrazia totalitaria» (J. Talmon)? Sulla falsariga del coevo storico che
la definì «democrazia autoritaria e nazionale» (G. Volpe)?
Forse poco di ciascuno di questi singoli elementi, talvolta fuorvianti, se ci si pone
il problema di adottare non una scorciatoia, ma una diacronica e puntuale ricostruzione
storica di un sistema di potere edificato non senza contraddizioni, pause e accelerazioni,
e in ogni caso senza troppa coerenza programmatica, seguendo istinti opportunistici e
tempismo di cui dette ampie prove il suo fondatore e capo. Ma, prima di ogni altra definizione
concettuale, regime dittatoriale che, originato dalla violenza squadrista e dall’inaudita
prova nazionale di terrorismo eversivo con la marcia su Roma, non abbandonò mai
il ricorso alla violenza, anche nelle fasi cruciali della stabilizzazione dopo il 1922, e dopo
il 1926.
Millan concentra la maggior parte della ricerca sul primo decennio della dittatura,
con collegamenti frequenti con tutti gli anni ’30, fino alle vicende di Salò. E delinea con
efficacia e dovizia di particolari (anche biografici) il carattere non transeunte, permanente
e pervasivo della violenza fascista, la vera «arma più forte» della dittatura. Sfumando la
perentoria lettura dello squadrismo come «essenza del fascismo», presente nella tesi di
dottorato dalla quale ha tratto, ampliandola, il libro, l’a. eccelle nell’identificare i tantissimi
squadristi che della violenza fecero «una vera e propria competenza e il fondamento
di specifiche strategie sociali» (p.10). Con esiti ed effetti di lunga durata, iniziati certo
nel periodo antemarcia con il controllo capillare del territorio, ma proseguiti con un
costante riferimento a luoghi e ambiti che finivano anche nel mirino del controllo sociale
poliziesco e repressivo della dittatura, nella quale gli squadristi occupavano posizioni non
di rado decisive.
Fu insomma la violenza politica impersonata da uomini, tradizioni e miti dello
squadrismo a rendere impossibile, nella dittatura fascista, ogni qualsivoglia ritorno alla
democrazia e al pluralismo. Qualche camicia nera al confino fece da contrappunto ai
non pochi «squadristi di lungo corso» in servizio permanente ed effettivo ben prima dei
richiami di Salò. Nella miscela di indagini locali, percorsi biografici e valutazioni generali
sulla dittatura, il libro conferma la maturità e le capacità della più giovane storiografia sul
fascismo e si fa apprezzare nell’ambito più generale e collettivo di una stagione di studi
del tutto positiva e proficua.

 Marco Palla