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Storia della Confederazione italiana agricoltori. Rappresentanza, politiche e unità contadina dal secondo dopoguerra ad oggi

Emanuele Bernardi, Fabrizio Nunnari, Luigi Scoppola Iacopini
Bologna, il Mulino, 276 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2013

Dissodando un terreno assai poco frequentato, questa storia tutta politica della Cia affronta il tema dell’organizzazione a sinistra dei contadini, un mondo costantemente indebolito dalle grandi trasformazioni economiche e sociali che attraversano l’Italia repubblicana, dalla riforma agraria al boom, all’avvento della Comunità Europea. Trasformazioni anche politiche nelle tormentate parabole della sinistra, nei cui orizzonti l’organizzazione della piccola proprietà rurale faticava ad entrare.
Dalla metà degli anni ’50, in concomitanza con la progressiva scomparsa del bracciantato, si avviò una strategia comune tra le varie sigle che si raccolsero, almeno in parte, nell’Alleanza nazionale dei contadini affidata a Emilio Sereni. Scarso successo ebbe il tentativo di dialogare con Confagricoltura e Coldiretti. La strategia comunque avanzò e confluì infine, a metà degli anni ’70, nella Confcoltivatori, letta da molti come l’offensiva del Pci nelle campagne. Le direttive principali dovevano essere autonomia dai partiti e blocco della fuga dalle campagne dei giovani colmando le disparità di vita tra aree urbane e rurali. Se assai arduo era il primo obiettivo, del tutto utopistico appare il secondo da realizzare proprio all’inizio della seconda ondata consumistica.
In realtà, il vero piano strategico della Confcoltivatori pare soprattutto quello delle politiche comunitarie, dove l’Italia pagava evidenti pegni a vantaggio delle aree forti in termini di investimenti e costi. In aggiunta c’era la politica agricola aggressivamente espansiva dell’America reaganiana.
È sulla scorta di queste battaglie – e negli anni del craxismo – che avanza l’accostamento alle altre grandi organizzazioni, più disponibili ora ad attenuare le preclusioni a sinistra, a sostenere la difesa comune del prodotto più che quella del singolo gruppo di produttori. Allo stesso tempo, la Cic maturava un atteggiamento di stampo anglosassone verso il governo: niente più contrapposizioni di principio, sordina alle ideologie e valutazione caso per caso dei diversi provvedimenti governativi.
Nei cupi tempi di Tangentopoli la parabola sembra giungere a maturazione con il varo della Confederazione italiana agricoltori, organizzazione pensata in difesa degli «agricoltori» nel loro insieme, laica di fronte a partiti, sindacati e governi, desiderosa di intervenire direttamente nelle scelte di politica economica e sul corso dei finanziamenti internazionali. Sono i tempi, sullo sfondo del crollo della Federconsorzi, di parziali ma significativi successi d’azione unitaria con Coldiretti e Confagricoltura; di questioni come la «mucca pazza» e delle «quote latte» che mettono in luce nuovi problemi di crisi del lavoro, di sicurezza alimentare, di sovranità e di asfittiche rivalse territoriali; questioni che «possono essere governate da un nuovo protagonismo unitario, oppure subite da un associazionismo sbriciolato e frustrato» (p. 193).

Roberto Parisini