Cerca

Storia dell’archeologia classica in Italia

Marcello Barbanera
Roma-Bari, Laterza, 227 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2015

Sono le innumerevoli ricerche sulla storia dell’archeologia pubblicate a livello internazionale
negli ultimi quindici anni, e il mutato atteggiamento dell’autore dinanzi a
questioni inerenti la disciplina, a spingere Barbanera a riprendere il proprio volume L’archeologia
degli italiani del 1998 e a riscriverlo, ampliandone varie parti e introducendovi
nuove sezioni.
Il libro ripercorre la storia dell’archeologia classica nel nostro paese, offrendone una
sintesi densa dalla seconda metà del ’700 a oggi. L’a. si confronta con le questioni che più
hanno segnato la trasformazione dell’archeologia da disciplina ausiliaria della filologia a
scienza autonoma, evidenziando temi, soggetti e fasi di questo processo di emancipazione.
L’affermazione dell’archeologia classica come storia dell’arte antica, l’«istituzionalizzazione
di una grecità ideale» (p. 32), l’influenza degli studiosi tedeschi su quelli italiani
rappresentano gli elementi chiave di una vicenda che in Italia determinò a lungo l’approccio
al manufatto antico. Quest’ultimo conobbe già delle trasformazioni a fine ’700,
quando l’esigenza di intervenire sul terreno a Ercolano e Pompei, e di tutelare il panorama
dei reperti storico-artistici nella penisola, sollecitò l’avvio di una graduale separazione tra
l’aspetto estetico della disciplina e la dimensione fisica dello scavo. Sullo sfondo di un’Europa
impegnata nello sviluppo delle scienze dell’antichità, l’a. segue quindi il processo di
professionalizzazione dell’archeologia postunitaria, evidenziando difficoltà e ostacoli che
segnarono le politiche culturali nella penisola.
Pregio del volume è il continuo intreccio tra storia della cultura e storia delle istituzioni,
dal quale emerge il complesso quadro di interessi coinvolti dalla creazione di nuovi
organismi, siano essi la Scuola archeologica di Pompei (1866) o la Scuola archeologica
italiana di Atene (1909). Tale quadro conobbe importanti trasformazioni nell’Italia del
’900, in cui il predominio dell’arte greca cedette il passo a quello dell’arte romana glorificata,
nella sua forma imperiale, dall’avvento del fascismo. Fu allora che divenne chiara la
subalternità della disciplina alla politica, e il suo rapido piegarsi alle istanze dell’ideologia.
L’a. evidenzia come continuità e persistenze caratterizzarono l’archeologia del dopoguerra,
avviluppata da una «coltre di conformismo» (p. 149) che impedì un’articolata riflessione
sulle complicità del passato, e determinò una continuità di metodo e di protagonisti messa
in crisi solo negli anni ’60-’70. È allora che videro la luce le innovazioni e le rotture da
cui presero le mosse le sfide attuali della disciplina.
L’attenzione alla biografia dei soggetti impegnati in questa storia (da Giuseppe Fiorelli
a Ranuccio Bianchi Bandinelli, da Paolo Orsi ad Alessandro della Seta) costituisce un
altro merito del libro, che offre un punto di vista importante per comprendere lo sviluppo
non solo dell’archeologia, ma anche – e soprattutto – delle politiche culturali italiane, le
cui dinamiche e i cui processi hanno ancora molto da raccontare.

 Simona Troilo