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Tony Judt – Dopoguerra. Come è cambiata l’Europa dal 1945 a oggi – 2007

Tony Judt
Milano, Mondadori, X-1075 pp., Euro 32,00 (ed. or. New York, 2005)

Anno di pubblicazione: 2007

Con questa ricostruzione multiforme, densa e vivace della storia del continente dopo il 1945 l’a. ha fissato un robusto parametro letterario e interpretativo con cui ogni discussione storiografica dovrà misurarsi. A parer mio si tratta dell’opera più convincente e stimolante in materia, innanzitutto perché integra le storie generalmente separate dell’Est e dell’Ovest in uno sguardo unitario. Ciò discende da un baricentro interpretativo fissato non sulle visioni occidentaliste di nuovi inizi e rigenerazioni, bensì sull’analisi dell’intero periodo come di un «prolungato epilogo della guerra civile europea iniziata nel 1914» (p. 925). Il quarantennio chiusosi nel 1989 è quindi un lunga, complessa marcia per fuoriuscire dalla «lunga ombra lasciata da dittatori e conflitti del recente passato» (p. 10). I tempi e i modi sono molto diversi, ma il percorso è comune all’Est e all’Ovest.Quella di Judt è un’Europa che trova la via della pacificazione nel proprio ridimensionamento identitario oltre che post-imperiale. Fascismo e comunismo vengono finalmente trascesi perché si dissolvono gradualmente le grandi narrazioni di progresso e rivoluzione, i progetti ideologici di dominio e rigenerazione, e al loro posto si converge ben più pacificamente intorno alla cultura di una regolamentazione socio-economica variamente negoziata. Che questo avvenga anche per mezzo di silenzi e rimozioni sulla varietà di stragi e pulizie etniche con cui le dittature avevano ridisegnato la mappa etnica del continente – e in primo luogo silenzio sulla «indifferenza» (p. 1011) degli europei verso il destino degli ebrei – appare qui non giustificabile ma storicamente comprensibile e costantemente soppesato in un raro, bell’esempio di equilibrio interpretativo tra storia e memoria.Eccellente sui primi decenni – in particolare sulle dinamiche della separazione tra Est ed Ovest, la formazione e stabilizzazione dei rispettivi regimi politici, la rapida eclissi dei costumi della vecchia Europa, le tensioni verso la prosperità e i linguaggi della modernizzazione – il testo ha pagine di grande intensità sul costante confronto tra l’illusione intellettuale che il comunismo appartenesse alla famiglia delle aspirazioni progressiste e la sua dolorosa applicazione nei paesi dell’Est. La storia del dibattito intellettuale è il primo specialismo di Judt, che mostra una spiccata, lucida attenzione a Francia, Gran Bretagna, Polonia e Cecoslovacchia, ma è ben integrata entro panoramiche delle trasformazioni economiche, sociali e della cultura di massa nell’intero continente.Risulta inevitabilmente più estemporanea la parte sui decenni più recenti – e secondo me esageratamente critica quella sulle pochezze delle culture emanate dal 1968 – dove tuttavia spiccano l’eccellente ricostruzione della crisi strisciante dei regimi dell’Est, l’analisi di raro equilibrio sulle radici, virtù e aporie del «modello europeo» e, infine, la percettiva discussione sulla memoria odierna della storia europea.

Federico Romero