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Tra Riforma e patristica. Il metodismo in Italia dall’Unità al caso Buonaiuti

Andrea Annese
Roma, Viella, 396 pp., € 36,00

Anno di pubblicazione: 2018

Dal celebre volume di Giorgio Spini, Risorgimento e protestanti (1956), non sono poche le opere dedicate alla presenza metodista in Italia ma in prevalenza si tratta di lavori frammentari che, quasi per scelta metodologica, rinunciano a ricostruire organicamente anche un solo periodo della storia di questa importante componente del protestantesimo italiano.
Il presente volume, frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Storia Culture Religioni della Sapienza – Università di Roma e il Centro di Documentazione Metodista, ha il grande pregio di muoversi lungo un arco temporale limitato che va dall’Unità – e quindi dal tempestivo arrivo in Italia delle missioni metodiste inglese e nordamericana – al «caso Buonaiuti», analizzato dal momento della sua prima scomunica (1921) fino alla lunga frequentazione del mondo evangelico e alla morte nel 1946.
Con la fine della seconda guerra mondiale, infatti, si rese evidente quello che già si poteva intuire negli anni immediatamente successivi ai Patti Lateranensi, e cioè la fine – o meglio il fallimento – del «sogno» metodista di un’Italia protestantizzata e per questo quasi automaticamente democratizzata. Nelle parole di uno degli artefici delle missioni in Italia, James Dixon, se in Italia si fosse consolidata una solida presenza protestante in grado di predicare la «giustificazione per fede», questa verità «avrebbe rivoluzionato e rovesciato il papato intero» e una sola verità insieme teologica e politica avrebbe «sovvertito il sistema» (p. 29). Era un sogno ingenuo, alimentato dal relativo successo delle missioni metodiste che in pochi decenni riuscirono a creare una significativa rete di comunità ben distribuite nel territorio nazionale e in alcune grandi città. Al tempo stesso, però, sottovalutava la forza del radicamento cattolico e sopravvalutava la capacità di tenuta politica dell’Italia liberale.
Il capitolo più originale è quello che l’a. dedica ad alcuni intellettuali metodisti, evidenziandone la capacità di dialogo con la cultura filosofica e storica del loro tempo. I nomi più noti sono quelli di Pietro Tagliatela, Enrico Caporali e Teofilo Gay ed è l’analisi di alcuni dei loro testi a offrire all’a. l’argomento che giustifica il riferimento alla teologia patristica contenuto nel titolo. Sulla scia wesleyana, infatti, il primo metodismo italiano rivendicò le sue radici nel pensiero teologico dei padri della Chiesa indivisa, che presentavano una «dot- trina purissima primitiva […] fedeli ancor essi al Vangelo» (p. 202). Da questa interazione tra arminianesimo wesleyano e patristica nacque una teologia originale, capace di alimentare un fruttuoso dialogo con le altre denominazioni evangeliche e la cultura italiana così come – ma solo in tempi a noi assai più vicini – con la Chiesa cattolica. Siamo, in conclusione, di fronte a un testo originale e documentato che fa progredire gli studi su una componente rilevante e dinamica del pluralismo religioso italiano.

Paolo Naso