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Tra Stato e parastato. L’Ente Nazionale Artigianato e Piccole Industrie (1925-1978)

Anna Pina Paladini
Galatina, Università del Salento-Congedo Editore, 240 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume aggiunge un nuovo tassello alla storia dell’amministrazione parallela dello
Stato italiano, ripercorrendo in dettaglio le vicende dell’ente preposto allo sviluppo
dell’artigianato e della piccola industria, dalla fondazione nel 1925 alla soppressione nel
1978.
I primi interventi di sostegno al settore furono avviati nella congerie del primo dopoguerra,
nel quadro dei tentativi di rappresentanza corporativa, quando i poteri pubblici
iniziarono a guardare alla microimpresa come a uno strumento di assorbimento della
disoccupazione e di contenimento delle tensioni sociali, attraverso il ruolo moderatore
dei ceti medi inferiori. Presto abbandonati gli impulsi razionalizzatori di stampo nittiano
e quelli cooperativistici luzzattiani, il fascismo fece dell’ente uno strumento asservito alla
propaganda di regime. Pur nato come ente per le piccole industrie e solo nel 1930 esteso
nella denominazione all’artigianato, proprio su quest’ultimo si incentrarono le iniziative,
per lo più fiere, mostre mercato e spazi espositivi, destinate in particolare all’artigianato
artistico che ben rispondeva alla retorica fascista del «genio italico» e della qualità contrapposta
alla quantità. Assai limitati restarono gli interventi in campo creditizio e della
formazione professionale, anche a causa della ristrettezza delle risorse a disposizione. Inserito
nel quadro corporativo, l’ente divenne cassa di risonanza delle iniziative del regime,
nonché luogo della mediazione dei contrasti tra la Federazione fascista degli artigiani e
la Confindustria, cui spettava la rappresentanza della piccola industria, nella confusione
definitoria sia dell’artigianato sia della piccola industria.
Destino non diverso ebbe l’ente nell’Italia repubblicana, nonostante l’avvento delle
libere organizzazioni al posto dei sindacati di regime: uno dei tanti casi di continuità istituzionale,
con i partiti di governo in luogo del Partito fascista. Nuovamente, specie dopo
la legge definitoria dell’artigianato del 1956, di artigianato l’ente si occupò prevalentemente,
rappresentando uno strumento di consenso in primis alla Democrazia cristiana,
dato il ruolo preponderante delle associazioni artigiane di stampo cattolico. Restavano in
campo anche le tensioni con la Confindustria per la competizione sulla rappresentanza
della piccola impresa. Più efficace è stata in regime democratico la pressione degli interessi
organizzati nell’ottenere sussidi e regimi speciali, mentre sui fronti più importanti del
sostegno, ovvero credito e internazionalizzazione, il ruolo dell’ente è stato ridimensionato
dall’istituzione di Artigiancassa e dell’Istituto per il commercio estero.
In conclusione, l’a. sottolinea l’inefficacia del contributo dell’ente all’espansione e alla
modernizzazione di un settore pur fondamentale della struttura produttiva italiana. La sua
funzione prevalente fu intessere rapporti tra partiti e rappresentanze degli interessi, in un
ennesimo capitolo della mancata riforma dell’amministrazione pubblica italiana.

Stefano Musso