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Umberto Chiaramonte, Luigi Sturzo consigliere provinciale di Catania, – Caltanissetta-Roma – 2007

Umberto Chiaramonte, Luigi Sturzo consigliere provinciale di Catania,
Salvatore Sciascia editore, 531 pp., Euro 30,00

Anno di pubblicazione: 2007

Nel 1895 il vescovo Gerbino raccomandava ai parroci della diocesi di Caltagirone di favorire l’impegno politico-amministrativo dei cattolici e incaricava un giovane sacerdote, don Luigi Sturzo, di coordinare tale attività. Pochi anni dopo, nel 1899, Sturzo iniziava un percorso nelle amministrazioni locali che lo avrebbe portato a ricoprire diversi incarichi: consigliere comunale, prosindaco di Caltagirone e consigliere provinciale.Il volume ricostruisce appunto l’attività di don Sturzo nel Consiglio provinciale di Catania dal 1905 al 1923. In realtà l’a., studioso già attivo su questi temi, intreccia diversi piani: funzioni e utilità dell’Ente Provincia; ruolo di Sturzo all’interno del nascente movimento cattolico; analisi dell’economia del territorio catanese. Attraverso diverse fonti documentarie quali le statistiche ministeriali, provinciali e comunali e le inchieste parlamentari, l’a. individua cause e responsabilità del mancato sviluppo del Catanese: le prime imputabili al ritardo dei processi di modernizzazione, le seconde alla latitanza dello Stato nell’elargizione di risorse e alla cattiva gestione delle medesime da parte delle amministrazioni locali.A Catania, pur prevalendo il condizionamento politico di uno dei capi storici del movimento dei Fasci siciliani, De Felice Giuffrida, don Sturzo si rese conto che tra il blocco conservatore e quello popolare si creava un’alleanza trasversale che produceva due conseguenze: una tacita spartizione di posti e prebende e un certo favoritismo verso il capoluogo provinciale a danno della periferia, e per questo si assisteva «sia ad episodi di lotta per il potere sia ad episodi di spartizione concordata del medesimo» (p. 292). «Don Sturzo rimase sostanzialmente un battitore libero, ruolo che richiedeva una buona dose di coraggio e di indipendenza, ma soprattutto di preparazione tecnica e giuridica, per non cedere di fronte all’isolamento a cui lo costringevano i blocchi popolari, i costituzionali e i monarchici» (p. 292). La ricerca trova però un limite oggettivo nei verbali del Consiglio provinciale, che non riportano «il voto e le motivazioni dei singoli consiglieri» (p. 292). Dal 1920 gli impegni nazionali costrinsero Sturzo sempre più spesso a Roma e questo gli impedì di curare il radicamento del PPI proprio in Sicilia, dove i risultati non corrisposero alle aspettative, per «l’impreparazione della classe politica del PPI locale, rimasta in balia di se stessa e senza un ?delfino” che fosse in grado di raccogliere l’eredità sturziana» (p. 448).Alla fine di questo corposo volume, il lettore potrebbe maturare un giudizio negativo sull’utilità dell’Ente Provincia; giudizio per altro già condiviso da Sturzo e presente nel dibattito che sin dalla nascita del Regno ha accompagnato fino ad oggi, la vita di questo ente, accusato di essere artificiale e inutilmente costoso. La ricerca sembra involontariamente confermare tale giudizio, mostrando come il Consiglio provinciale di Catania non seppe dare risposte apprezzabili alle grandi questioni che fu chiamato ad affrontare in quegli anni: infrastrutture, infanzia, problemi manicomiale e igienici, obbligo scolastico.

Monica Campagnoli