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Un impegno controcorrente. Umberto Terracini e gli ebrei (1945-1983)

Marta Nicolo,
Torino, Zamorani, 184 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il lavoro di Marta Nicolo rappresenta un importante contributo alla biografia di
Umberto Terracini. Permette di valutare nel merito di una questione specifica – quella
ebraica – i confini, via via più ampi, di quella autonomia di giudizio che fece di Terracini
un «comunista controcorrente», spesso in dissenso con il Partito che aveva contribuito a
fondare. E di apprezzarne la complessità di un’azione politica e culturale che non si esauriva
all’interno delle organizzazioni comuniste, ma mirava al dialogo con le espressioni
più autonome della società civile. Queste pagine ci aiutano anche a comprendere meglio,
nel loro intersecarsi, processi politici e culturali che hanno interessato la società italiana
nella seconda metà del ’900: il lento affiorare della consapevolezza di che cosa avessero
rappresentato la persecuzione e lo sterminio degli ebrei; la sopravvivenza, talvolta anche a
sinistra, dell’antisemitismo ora anche in associazione all’antisionismo; l’impatto sulla politica,
sulla società italiana e in fondo sulla stessa identità degli ebrei italiani della nascita
di Israele e del conflitto mediorientale.
Contrariamente ad altri dirigenti comunisti di origine ebraica, Terracini, per quanto
laico, riservò per la questione ebraica un interesse specifico che nell’immediato dopoguerra
si tradusse soprattutto in attivo sostegno al reinserimento degli ebrei nella società, sia
sotto forma di provvidenze economiche (la legge del 1954 a favore dei deportati politici e
razziali porta il suo nome), sia soprattutto sotto forma di risarcimento morale e politico.
Anche in qualità di presidente dell’Anppia, svolse un ruolo di precursore nel campo della
memoria, sottolineando anzitempo la specificità delle persecuzioni antiebraiche.
Gli scostamenti verso la linea seguita dal Pci furono invece occasionati dalla sua simpatetica
attenzione verso Israele – non seguendo questi il Partito lungo il percorso che da
un iniziale favore alla causa israeliana lo avrebbe dislocato a sostegno di quella palestinese
– e dalla sua denunzia, a partire dalla seconda metà degli anni ’60 delle politiche antisemite
attuate in Urss, da Stalin come dai suoi successori. Si trattava per il giurista Terracini
di un vulnus alla legalità socialista che confermava l’inaccettabile arbitrarietà del sistema
politico sovietico. L’a. non sembra però ritenere queste critiche possano farci concludere
per un vero e proprio «strappo» di Terracini rispetto alla cultura politica comunista. Sembrerebbe
piuttosto egli confidasse nella possibilità di un’evoluzione del sistema sovietico
in grado di riconciliare il comunismo con le libertà democratiche e il rispetto dei diritti
umani. E forse vedesse nella mobilitazione della società civile in atto da entrambi i lati
della cortina di ferro negli anni ’70 non già una minaccia per l’Urss, ma un possibile agente
di positiva trasformazione come testimonierebbe la sua attiva adesione alle campagne
di Amnesty International.
In Appendice l’a. riporta documenti inediti conservati presso l’Archivio Terracini di
Acqui Terme, le cui carte hanno costituito la fonte principale del suo lavoro.

Cesare Panizza