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Una memoria per immagini. Guerra e Resistenza nelle fotografie di Ettore Serafino

Alessandra Giovannini Luca, Davide Tabor
Milano, FrancoAngeli, 197 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il tema della rappresentazione fotografica della Resistenza italiana da vari decenni ormai non gode più di grandi attenzioni in campo storiografico, per quanto sia stato proprio a partire da quel tipo di documentazione che avvenne il primo confronto, lungo e problematico, tra le diverse ricostruzioni delle vicende italiane tra il 1943 e il 1945.
È abbastanza insolito ritrovare qualche attenzione al tema anche nella saggistica dedicata ai visual studies e va comunque aggiunto che, pure in ambito internazionale, la sensibilità verso problematiche analoghe nelle diverse realtà geografiche vede né un grande impegno di studi né particolari apporti conoscitivi di qualche utilità alla comunità scientifica.
Il saggio ha quindi tutto il merito di riproporre agli studiosi più attenti alle potenzialità di queste nuove fonti i grandi temi rimasti aperti, sia sul piano delle riflessioni metodologiche sia su quello interpretativo, di una forma di documentazione non facile da utilizzare nella ricostruzione storiografica e nella sua stessa scrittura.
L’approccio a questa memoria per immagini avviene non tanto a partire dall’esame della documentazione di un evento particolare quanto dallo studio di un fondo fotografico privato appartenuto a Ettore Serafino, comandante di un distaccamento partigiano operante in Val Chisone. Il fondo, dotato di particolare organicità, è costituito in larga parte da materiali realizzati da Serafino nel corso dell’intero secondo conflitto mondiale, durante il quale egli fu ufficiale destinato prima alle operazioni sul fronte occidentale nel 1940, poi inviato sui fronti d’Albania e di vari territori nei Balcani. L’armistizio del 1943 lo colse ad Aosta e di qui raggiunse la Valle Pellice, di cui era originario, ove si unì ai primi nuclei partigiani, per poi spostarsi in Val Chisone ed essere inquadrato in una formazione autonoma di cui divenne comandante.
L’ampiezza della documentazione che Serafino realizzò – nei limiti consentiti dalle contingenze del momento e dalle diverse situazioni vissute – in quei mesi di lotta partigiana e nei precedenti anni di guerra, ma soprattutto la sua grande passione per la fotografia sono le maggiori ragioni della particolare attenzione ai materiali analizzati nel saggio.
L’approccio è fortemente condizionato dall’impegno a studiare la produzione di documenti fotografici indipendentemente dal contesto storico ed evenemenziale in cui essi erano stati prodotti. Questa chiave interpretativa conduce gli aa. a leggere in modo purtroppo restrittivo il carattere documentario della fotografia soprattutto nella fase della sua produzione. Parimenti viene minimizzata anche la riflessione sull’uso che di quelle immagini venne fatto sia da parte di Serafino, durante il conflitto e a guerra di Liberazione conclusa, sia da parte delle persone che avevano ricevuto, a vario titolo, copie degli scatti realizzati.
Va infine richiamata una approssimativa cura degli indici da parte dell’editore.

Adolfo Mignemi