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Venise, un spectacle d’eau et de pierres. Architecture et paysage dans les récits de voyageurs français. 1756-1850

Laetitia Levantis
Grenoble, Ellug-Université Grenoble Alpes, 291 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2016

Dal 1756 in cui Charles-Nicolas Cochin pubblica la prima guida artistica francese
sull’Italia, fino a quando entra in funzione la ferrovia che collega la città alla terraferma,
l’a. ricostruisce come gli scrittori francesi abbiano avuto un ruolo determinante nell’elaborare
immagini contrastanti di Venezia come luogo della memoria europea e italiana,
spesso ammantato di esotismo. La città insulare – da loro percepita ora come decrepita,
ora come vitale ispiratrice nel suo antico splendore – continua in quel periodo a offrire
percezioni emotive di uno spazio onirico in cui ogni viaggiatore può riversare il proprio
immaginario, spesso paludato di suggestioni che pretendono di avere la giusta interpretazione
del senso storico della città. Tra la metà del XVIII e quella del XIX secolo, soprattutto
nei dibattiti in campo estetico, a questi intellettuali pare imprescindibile rapportarsi
con la tradizione veneziana, spesso elaborando rappresentazioni esotizzanti di un anomalo
spazio urbano cresciuto come porta verso l’Oriente; ma anche facendone oggetto di studio,
con interesse razionalistico per le realizzazioni in campo artistico e architettonico
presenti in città. Molti cominciano inoltre a cercarvi ispirazione artistico-letteraria.
Con la fine della Serenissima Repubblica decretata da Napoleone, sono soprattutto
gli scrittori francesi, sulla scia dell’Histoire de la république de Venise di Pierre Daru (1819),
a propagare quella che gli storici hanno poi definito la «leggenda nera» della città marinara
di antico regime: la torbida presentazione storico-letteraria – ideologicamente motivata –
di una tetra e misteriosa capitale, che per secoli aveva oppresso i suoi sudditi, corrotta da
congiure e misfatti segreti di un gretto governo aristocratico, geloso dei propri privilegi.
O anche come città propagatrice di malattie contagiose portate dall’Oriente, o formatesi
nelle putredini dei rii.
Successive elaborazioni di nostalgiche immagini romantiche per la decaduta grandezza
della città si muteranno, a cavallo tra XIX e XX secolo, in una venerazione psicologicamente
regressiva dei contrasti cromatici delle acque veneziane, dei palazzi che si
guastano nella laguna, del dedalo di calli anguste, poco accessibili alla moderna civiltà
industriale. Il tutto convertito in luogo di intime e funeree meditazioni esistenziali. Ma
nell’intermezzo tra queste già contrastanti visioni della città, soprattutto nel periodo della
dominazione asburgica interessata ad avviare un moderno sfruttamento turistico e balneare
della città, in sostituzione delle quasi decadute attività portuali, non mancò neppure
una paradossale sensibilità scientista dei viaggiatori e scrittori francesi per la propaganda
di Venezia come luminosa città termale della salute, benefico luogo di cura per il corpo e
per i nervi. Un aspetto pochissimo noto, quest’ultimo, che proprio questa ricerca sa ripercorrere
in modo originale, da fonti odeporiche, letterarie e iconografiche.

 Marco Fincardi