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Victor Zaslavsky – Lo stalinismo e la sinistra italiana. Dal mito dell’URSS alla fine del comunismo, 1945-1991 – 2004

Victor Zaslavsky
Milano, Mondadori, pp. 288, euro 17,50

Anno di pubblicazione: 2004

Il volume raccoglie sei saggi (alcuni inediti, altri già pubblicati ma per l’occasione ampliati e rielaborati) su alcuni aspetti del rapporto tra la sinistra italiana e l’Unione Sovietica. Ai saggi, di taglio prettamente analitico, sono poi affiancati due ampi capitoli (uno introduttivo e uno conclusivo) in cui l’autore svolge riflessioni di carattere più generale intorno al ruolo svolto dallo stalinismo nella politica italiana, ma anche su alcune vicende interne all’URSS e sulla propria esperienza in quel paese.
I saggi offrono dei contributi rilevanti alla conoscenza di aspetti importanti della storia dell’Italia repubblicana e in particolare di quella del PCI. In primo luogo, consentono una più precisa valutazione (nei limiti di una documentazione ancora carente e dal differente grado di affidabilità) dei caratteri e delle trasformazioni dell’apparato paramilitare del PCI in rapporto all’evoluzione della situazione internazionale e della politica sovietica. Anche se mancano ancora riscontri definitivi, appare verosimile ipotizzare l’esistenza di un apparato di una certa consistenza e potenzialmente attivabile a fini insurrezionali sino alle elezioni del 1948, e la sua successiva trasformazione in una struttura clandestina più snella, dedita alla raccolta di informazioni e alla difesa dei dirigenti del Partito nel caso di una sua messa fuori legge. In secondo luogo, esce confermato il ruolo di incontrastato ?decisore di ultima istanza? svolto da Stalin nelle scelte strategiche più significative del movimento comunista internazionale, ma anche il fatto ? rimasto in ombra in precedenti scritti dell’autore ? che ?le scelte di Stalin e Molotov su Trieste, sul trattato di pace, sui prigionieri di guerra italiani in Unione Sovietica, sul Piano Marshall e su alcuni altri problemi della politica verso l’Italia erano in contrasto con l’opinione di Togliatti? (p. 87). In particolare, il volume offre un’importante ricostruzione del mutevole atteggiamento del dittatore sovietico nei confronti dello scacchiere mediterraneo nel periodo a cavallo tra il 1947 e il 1948. Significativi appaiono anche i rilievi sull’entità e il ruolo del finanziamento sovietico al PCI (e per una fase anche al PSI), come importante è la ricostruzione dell’intervento di Togliatti nel processo decisionale del PCUS sulla crisi ungherese del 1956. Se i saggi appaiono complessivamente equilibrati, non giova alla solidità complessiva del libro il taglio inquisitorio che caratterizza l’introduzione e le conclusioni, soprattutto perché, isolando da una più complessiva analisi del ruolo del PCI nella storia d’Italia il tema del suo stalinismo, paradossalmente non aiuta a comprenderne le ragioni e il significato più profondi. Allo stesso tempo, l’esplicito richiamo dell’autore alla propria esperienza ? in Russia ? di esponente di quella ?generazione del ’56? delusa dall’esito della destalinizzazione, e consapevole sulla propria pelle che l’ordine internazionale bipolare non era altrettanto generoso per i popoli dell’Europa orientale di quanto lo fosse per gli occidentali, deve indurre il lettore a un atteggiamento di comprensione e di rispetto per l’amarezza e il legittimo risentimento.

Roberto Gualtieri