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Vito Zagarrio – Cinema e fascismo. Film, modelli, immaginari – 2004

Vito Zagarrio
Venezia, Marsilio, pp. 316, euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2004

Negli ultimi decenni molti storici del cinema hanno abbandonato un punto di vista sulla storia della cinematografia fondato sul regista come unico autore delle sue opere, visto cioè alla stregua di un romanziere o di un musicista. È stato un processo graduale che ha portato a una profonda maturazione questo campo di studi che, pur non trascurando l’importanza delle ?poetiche? dei registi, ha allargato la visuale verso una considerazione dei film come ?opere collettive?, verso le strategie delle case di produzione, verso i complessi rapporti tra cinema e politica e tra cinema e immaginario collettivo. Il bel libro di Zagarrio, autore di importanti studi sul cinema italiano e americano, si inserisce in questo contesto critico, riuscendo a innovare la nostra conoscenza di un tema che pure è stato molto battuto sia dagli storici del cinema che da quelli dell’età contemporanea, come quello del rapporto tra cinema e fascismo.
Zagarrio riesce infatti ad amalgamare con grande accuratezza, e mediante una scrittura mai pesante, i due piani della storia del fascismo e della storia del cinema italiano in quegli anni, facendo tesoro dei migliori risultati della letteratura su questa materia, senza però inseguire tutte le suggestioni, talvolta fuorvianti, dei cosiddetti cultural studies. Il libro si fonda su di un coerente impianto metodologico, frutto di ampie ricerche sui documenti d’archivio, sulle riviste, sull’analisi dei testi filmici e sulla storia orale. Nella seconda parte dell’opera, tra l’altro, troviamo le interviste a molti dei protagonisti di quell’intensa stagione: non solo registi, ma anche attori, sceneggiatori, intellettuali.
Le figure dei principali attori di questa vicenda ? da Bottai a Freddi, da Chiarini a Blasetti ? si stagliano in un quadro dove le scelte estetiche sono analizzate inseguendo anche i risvolti politici: come la scoperta, ad esempio, del cinema sovietico. Ne emerge un quadro articolato della politica del regime fascista in questo campo, con la compresenza di spinte in molteplici direzioni. L’autore pone al centro della sua analisi la categoria di ?modernità?, vista alla luce delle nuove accezioni del termine: modernità come rinnovamento del linguaggio cinematografico, come riferimento a modelli stranieri, come mutazione dei mezzi e dei messaggi. Ma modernità anche come problema centrale di quella dinamica irrisolta all’interno del gruppo dirigente fascista che, se da un lato costruisce Cinecittà a imitazione degli Studios hollywoodiani e discute in modo spesso ?alto? della cinematografia, allo stesso tempo esprime su molti altri piani un forte provincialismo e una sottovalutazione di quel mezzo che pure Mussolini aveva definito ?l’arma più forte?. Viene messo bene in luce come, in alcuni casi, è proprio sfruttando queste incertezze che alcuni autori, sceneggiatori, ecc. ? non per questo ?antifascisti? ? realizzarono alcune delle migliori opere cinematografiche del periodo. La disamina di autori e opere, che l’autore discute nel quarto capitolo, non è quindi estrinseca al discorso generale ? limite presente in molti studi di questo genere ?, ma è parte inscindibile di un contesto delineato in modo estremamente convincente.

Ermanno Taviani