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Vittime e sopravvissuti. Gli esperimenti nazisti su cavie umane

Paul Weindling
Milano, Le Monnier, XXII-394 pp., € 18,00 (ed. or. London, Bloomsbury, 2014, trad. it. di Silvia Fontana)

Anno di pubblicazione: 2015

Il testo, frutto di una ricerca che ha interessato svariati studiosi di diverse nazioni, tra
i quali anche Francesco Cassata, nasce da un lavoro pluriennale e restituisce una mappatura
il più possibile puntuale di esempi di esperimenti condotti sulle vittime del nazismo
all’interno e all’esterno dei campi di concentramento. Oltre a 360.000 tedeschi sterilizzati
e a circa 240.000 persone sottoposte a eutanasia, 2.727 furono le vittime polacche di esperimenti
(ebree e non ebree), 2.253 quelle del Reich, 1.022 le sovietiche, 782 le austriache,
440 gli ebrei apolidi sottoposti a misure simili, 609 gli ungheresi, 537 gli jugoslavi e 426
i greci, per menzionare i gruppi più significativi. Lo studio dell’a. è stato condotto su una
mole vastissima di documenti depositati in numerosi archivi europei e statunitensi. Di
particolare rilievo è stata l’analisi degli atti che testimoniano il risarcimento delle vittime
del nazismo presso l’Its (International Tracing Service), aperto al pubblico solo in anni
assai recenti, benché una prima riflessione sugli esperimenti sia stata consentita grazie a
un sostegno finanziario dell’Arts and Humanities Research Council, che ha permesso la
realizzazione di un database sui soggetti sottoposti a suo tempo a esperimenti medici.
A differenza di quanto in genere si sostiene, gli esperimenti su cavie umane perpetrati
durante il dominio hitleriano non vennero condotti esclusivamente nei Kl (Konzentrationslager),
bensì in svariate strutture sanitarie pubbliche, coinvolgendo un numero
significativo di persone, ma soprattutto medici, molti dei quali non legati tout court al
nazismo e spinti essenzialmente dal desiderio di fare carriera. Persino la Dfg (Deutsche
Forschungsgemeinschaft), che ancora oggi finanzia numerosi progetti di studio in Germania,
ebbe un ruolo di spicco all’interno del «business» degli esperimenti. E se gli studi
sulla ricerca medica durante il Terzo Reich appaiono nel complesso considerevoli, scarsa
attenzione è stata rivolta finora alle questioni legate alla ricaduta degli esperimenti medici
sulle vittime, tanto che a oggi manca una mappatura esaustiva delle loro biografie,
soprattutto in ragione dei divieti posti dalle leggi sulla privacy, particolarmente severe in
Germania, dove i sopravvissuti devono essere anonimizzati se non si vuole incorrere in
severe sanzioni.
Secondo l’a. l’impossibilità di restituire una ad una le biografie delle persone soggette
a esperimenti ed eutanasia impedisce che queste vengano commemorate e che il destino
di ciascuna di loro possa restare impresso nella memoria collettiva, come invece avviene
nei confronti delle vittime della Shoah, che continua a rappresentare il parametro ultimo
di ogni riferimento alle persecuzioni naziste e che perciò anche in queste vicende sembra
essere una sorta di convitato di pietra. L’a. tocca un tasto delicatissimo quando affronta
il problema della privacy, la cui drammaticità in questo caso sta nel negare ai diretti interessati
la memoria ufficiale della loro esperienza, che solo a loro – a rigore – spetterebbe
censurare.

Giovanna D’Amico