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Vittoria Calabrò – Istituzioni universitarie e insegnamento del diritto in Sicilia (1767-1885) – 2002

Vittoria Calabrò
Milano, Giuffrè, pp. 403, euro 25,50

Anno di pubblicazione: 2002

Il libro si inserisce in una tradizione di ricerca dedicata alla ricostruzione degli strumenti istituzionali e culturali funzionali alla formazione del giurista. Il contesto analizzato è la Sicilia sette-ottocentesca e i termini a quo e ad quem della ricerca sono, rispettivamente, la messa al bando dei Gesuiti, disposta da Carlo III di Borbone nel 1767, e la parificazione degli atenei siciliani alle altre università italiane, avvenuta nel 1885.
La ricerca descrive, nella prima parte, gli interventi con i quali il potere politico ha disciplinato gli strumenti istituzionali di formazione e di trasmissione del sapere, ed analizza, nella seconda parte, la concreta organizzazione dell’istituzione universitaria e della didattica (dai meccanismi di reclutamento dei docenti alle discipline insegnate, alle impostazioni culturali prevalenti, ai libri di testo più diffusi).
Vengono messi in luce, nella prima parte, i vari interventi adottati dal potere politico nel tentativo di porre ordine ed uniformità in una rete di istituzioni culturali fortemente diversificate: la logica di fondo degli interventi è dominata da un esasperato centralismo, rafforzato dall’esigenza di contrastare la parentesi pericolosamente sovversiva del ?biennio rivoluzionario?; né peraltro la logica sembra cambiare drasticamente con l’unità d’Italia e con l’estensione alla Sicilia della legge Casati.
Nella seconda parte si entra in contatto con la cultura effettivamente elaborata e trasmessa nelle università siciliane. L’elemento che da questo punto di vista può apparire in qualche modo decisivo è l’entrata in vigore del Codice per lo Regno delle Due Sicilie. Ed indubbiamente la presenza del codice non può non incidere sulle discipline e sui contenuti della didattica universitaria. E’ al codice infatti che si guarda nella individuazione delle discipline curricolari; ed è in rapporto al codice, all’esigenza di intenderlo, commentarlo, insegnarlo, che il modello culturale più diffuso sembra essere la Scuola dell’esegesi di stampo francese. Non a caso infatti un libro di testo ampiamente consigliato è il Corso di codice civile di Delvincourt, debitamente tradotto ed adattato alla giurisprudenza del Regno. E’ interessante però notare che la lettura esegetica del Codice, per un verso, si innesta su una risalente cultura giusnaturalistica (sono ancora utilizzate le opere di un Wolff o di un Burlamaqui), mentre, per un altro verso, non cancella subitaneamente la tradizione romanistica antecedente, che viene anzi valorizzata come quadro di riferimento e strumento interpretativo dello stesso codice (anche se peraltro l’innesto della tradizione storicistica tedesca sulla cultura siciliana, certo non assente, non sembra incontestato e vincente).
Un altro tema che conviene segnalare, a completamento del quadro, riguarda le scuole private di diritto: fiorenti e influenti (e ampiamente studiate) nella realtà napoletana, ma, secondo l’autrice, tutt’altro che trascurabili anche nel tessuto sociale e culturale siciliano.
Il libro è infine arricchito da un’utile appendice documentaria, che permette al lettore di prendere diretta visione di alcune testimonianze rilevanti per la comprensione delle istituzioni universitarie siciliane.

Pietro Costa