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Voci della vittoria. La memoria sonora della Grande guerra

Piero Cavallari, Antonella Fischetti
con CD allegato, Roma, Donzelli, 193 pp., € 34,00

Anno di pubblicazione: 2014

Il volume ricostruisce la storia della raccolta discografica di Rodolfo De Angelis,
noto autore e interprete di musica leggera, che nel 1924-1925 avviò il progetto «La parola
dei Grandi» con l’obiettivo di incidere le voci dei militari di alto grado e degli uomini politici
protagonisti del conflitto mondiale. Si trattò di un’operazione di impianto celebrativo
e propagandistico volta a diffondere attraverso tecnologie nuove, quali il fonografo
e il grammofono, la memoria dei momenti chiave della guerra e nel contempo esaltare i
miti fondanti del fascismo.
Il progetto si collocava nel più ampio quadro della diffusione dei moderni mezzi di
comunicazione e di nuove tipologie narrative quali le «scene dal vero», brevi incisioni di
due-tre minuti su dischi a 78 giri riguardanti discorsi, avvenimenti storici o contemporanei.
Tali «cronache» ebbero un intenso sviluppo nel corso del conflitto e, unitamente
all’incisione dei canti dei reparti militari, gettarono le basi per la creazione di una memoria
sonora della guerra. In questo contesto «la parola dei Grandi» si configurava come
un vero e proprio «monumento sonoro» alla vittoria e ai suoi protagonisti, nonché un
prodotto commerciale destinato a un mercato in espansione.
La parte centrale del volume è dedicata alla realizzazione della discoteca, a partire
dalle voci che De Angelis non riuscì a catturare (Mussolini, Salandra, D’Annunzio, Vittorio
Emanuele). Vengono poi ripercorse le vicissitudini per la realizzazione delle sedute
di registrazione delle tre sezioni che componevano l’opera: i «condottieri», tra i quali Cadorna,
Diaz, il duca d’Aosta; gli «oratori»: Orlando, Tittoni, Delcroix; i «poeti»: Trilussa,
Pirandello, Marinetti. Sono descritti il processo di coinvolgimento dei protagonisti e le
loro reazioni all’ascolto delle voci registrate. Da questo quadro emergono non solo un
interessante spaccato sociale sul dopoguerra di militari e politici e la faticosa costruzione
di una rete di relazioni che precede e segue le incisioni; ma soprattutto il modo in cui
i protagonisti affrontarono l’esperienza di registrazione come una sorta di «autoritratto
sonoro» da destinare ai posteri.
Gli sforzi profusi, tuttavia, non furono ripagati dal successo commerciale, tanto che
il curatore dovette cedere la sua discoteca all’Associazione nazionale mutilati ed invalidi di
guerra, con la speranza di potersi ritagliare un ruolo di tecnico direttore di quella che, nel
1928-1929, nell’ambito della monumentalizzazione fascista della memoria della guerra,
sarebbe divenuta la Discoteca di Stato.
Il volume, originale e interessante, si presta a molteplici chiavi di lettura: da quello
del rapporto tra società e nuove tecnologie, a quello della storia culturale della guerra, evidenziando
da un lato le dinamiche del processo di appropriazione della memoria bellica
da parte del regime fascista, dall’altro, come i bollettini e i discorsi che avevano segnato
l’agognata fine della guerra, anche a distanza di tempo, facessero ormai parte dell’esperienza
collettiva degli italiani.

 Matteo Ermacora